domenica 6 marzo 2011

notizie dalla morte e dalla vita

Niente mi perseguita come la paura della morte. 
Avevo tre, quattro anni, nei primi ricordi che ho in mente segnati da quest'angoscia tremenda del vuoto, del nulla eterno, della fine di tutte le cose, dell'oblio. Mi svegliavo di notte sputando lacrime ansiose, interminabili. E mio padre, giovane allora, veniva a consolarmi, a dirmi di non preoccuparmi perchè "c'è sempre tanto tempo da vivere". Eppure quest'ansia non ha smesso di assillarmi. Ritorna in certe notti insonni, o prima di addormentarmi, come un pensiero fisso che fingo soltanto di accantonare nel giorno e che con il buio si ripresenta, ospite non certo benvenuto. Non credo di credere in un Dio. Questo non fa che peggiorare le cose. Allora mi metto a scrivere, conservo maniacalmente gli oggetti della mia vita. Metto da parte gli scontrini, i biglietti dei concerti e del cinema, recupero vecchie foto di famiglia, ho ancora da qualche parte le chiavi della vespa che qualcuno ha rubato, scrivo sulle prime pagine dei libri il mese e l'anno in cui li ho letti, come ha sempre fatto mia madre. Riordino la memoria, come se l'archeologia del passato servisse a non pensare a quel futuro inevitabile, al fatalismo misero dell'esistenza umana, alla sua precarietà. Ma al futuro ci penso e ogni volta lo immagino come ciò che desidero, come una casa accogliente, chiassosa nelle cene con vecchi amici, con i bicchieri sporchi di vino e l'aria densa del fumo delle nostre sigarette, con un disco a suonare piano mentre lavo i piatti aspettando la mattina dopo e lì una redazione affollata, caotica, e articoli da scrivere e vite da raccontare e per farlo viaggi, inchieste e la scoperta del mondo, l'andare per avere un posto in cui tornare e qualcuno ad aspettarmi, sulla porta.


A G.

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