mercoledì 8 febbraio 2012

Il più caro, il più fedele.


Mi avevano detto che non stava più bene. Tredici anni come averne addosso oltre cento, sarà stato stanco di correre nel giardino, di annusare l'odore dell'aria e ululare alla luna facendo sognare a tutti noi, pochi, che lo guardavamo, parentele con lontani lupi romantici, solitari. Me lo ricordo bene quando è arrivato. Io e Carmine non eravamo che ragazzini, otto e dodici anni e tanto tempo a pregare e implorare la presenza di un cane. Mia madre e mio padre non sono mai stati dei cinici, così quando seppero di una cucciolata, non credo ci pensarono su tanto a lungo. O forse ne discussero per bene, ma la prima ipotesi mi piace di più, e mi sembra veritiera. Andammo tutti insieme in questa campagna piena di cuccioli bianchi, tutti dolci, tutti teneri, tutti con quegli occhi nocciola di animali vispi, di vite appena nate, entusiasti di correre in un recinto, di saltarsi addosso, di mordicchiarsi l'un l'altro. Non riuscimmo a decidere, mi ricordo. E mi ricordo che andando verso la macchina uno di quegli esseri bianchi e pelosi ci rincorse per un po', col suo trottare impacciato di cucciolo. Il cane che sarebbe diventato il nostro Smile aveva scelto noi quattro, togliendoci dall'impaccio. Non era certamente il cucciolo più aggraziato, con quella coda alla fine tutta spellata, che per curarla ci volle la santa pazienza di mia madre e non so quale unguento miracoloso da spargere per farci ricrescere i peli. E i peli crebbero piano piano, divenne presto un cane bello, elegante nel suo meticciato, nel suo bianco macchiato. Ma che razza è? Un incrocio tra un maremmano e un pointer. E che cane è un pointer? Un cane da caccia, che io non avevo mai visto. Però mi avevano detto così e così io ripetevo a tutti quelli che mi ponevano l'odiosa domanda. Cosa ci sarà stato di tanto  interessante nel conoscere la razza di un cane. E' lui che bisogna conoscere, è il carattere, sono le attitudini, le passioni, i giochi prediletti, le voglie irrefrenabili, i vizi. 
Smile si chiamava così per un'idea di mia madre. Guardate, ci diceva, sorride. Sorrideva quando tirava fuori la lingua, affaticato da qualche corsa o dal caldo, e le labbra gli si incurvavano in una smorfia allegra, beata di goduria autentica. Forse tutti i cani sembrano sorridere quando fanno così, però Smile sorrideva di più. L'avevamo deciso noi, tutti presi dall'onorare degnamente quella nuova presenza in famiglia. Sorriso, che secondo noi si doveva tradurre in inglese con "Smart". L'errore durò un paio di giorni; un fido Garzanti italiano-inglese ci aiutò a ravvederci.
Il giorno dell'arrivo di Smile a casa, lo portò papà, sentivamo che era tutto pronto. Doveva avere una poltrona come cuccia(prima di una lunga serie di mobili devastati), due ciotole, che all'epoca erano una blu e una verde acqua, e un collare. Il collare lo ricordo ancora, era di quelli ad imbragatura, non sia mai a fargli male al collo per tirarlo, mi pare verde e forse con dei pupazzi disegnati. Ci mettemmo un po' a capire come usarlo, e comunque quel collare non durò. Smile smise presto di essere un cucciolo ed anche di essere un cane obbediente. I miei hanno usato ogni tipo di guinzaglio, e non ha mai smesso di tirare nelle passeggiate sul lungomare, fino a quando la stanchezza ha preso il posto della voglia di avventurarsi per pali e palme, marciapiedi, panchine e qualsiasi cosa si ergesse in verticale, alla ricerca del posto adatto per farsi una sana pisciata. Il posto adatto era il posto qualunque. Dicevo che il giorno del suo arrivo ci sentivamo preparati, da veri naif. Chiamai il mio amico Claudio per festeggiare l'evento, presi Smile, lo misi sulla poltrona e lo coprii con un plaid. Era settembre o ottobre, doveva morire di caldo. Si divincolò presto, io mi resi conto allora che non si trattava di una bambola, e che quell'arnese peloso e zampato avrebbe potuto mettere la sua volontà contro la mia. L'ho amato molto per questo. Ad un certo punto di quel glorioso pomeriggio mamma uscì, e doveva essere fuori anche papà. Smile ci mise di fronte all'evento a cui non eravamo preparati; di fronte allo stupore di mio fratello Carmine e Claudio e al mio, fece la cacca. Il "Che  fare?" ci assalì. La risolvemmo facile, paletta, scopa, scottex e una pezza. Col tempo avremmo imparato. 

Da quel giorno Smile ha accompagnato le nostre vite, mai sullo sfondo, sempre come la prima traccia di casa, come un fratello, un figlio, un amico. Croce e delizia di chiunque varcasse la porta di casa nostra. Quanto a me, ho sempre messo regole chiare con i miei amici: non osservatelo, non fate i simpatici, prima o poi sarà lui a venirvi a cercare. Ha fatto così con tutti tranne che con un tipo che aveva infranto la regola d'oro. Si è beccato una nasata in fronte, e secondo me Smile aveva tutte le ragioni del mondo. Non si invadono gli spazi vitali altrui per soddisfare il proprio ego.
Mamma, fra tutti, è quella che l'ha curato di più. Me la ricordo bene, per un lungo periodo infernale, svegliarsi all'alba con qualsiasi clima per portarlo a spasso. Mi ricordo i veterinari e le vaccinazioni e i microcip. Mi ricordo quando l'abbiamo portato a farsi la doccia in una specie di centro animali. Non l'avevo mai visto così ridicolo, ricoperto di spuma che lo faceva sembrare finalmente un maremmano, tanto ne aumentava il volume, e poi passare terrorizzato, e coda fra le zampe di rigore, sotto un phon di dimensioni macroscopiche che soffiava così forte da farlo sembrare un cane nella galleria del vento. Io e mamma ridemmo molto, lui restò traumatizzato. Ha odiato il phon per tutta la vita. Era una buona arma per allontanarlo dal bagno quando ci si asciugava i capelli e lui si metteva là, l'onnipresente, senza essere stato invitato. 

Quanto a mio padre, credo Smile nutrisse per lui un grande rispetto. Non che fosse particolarmente ubbidiente, questa non è mai stata la sua indole, però in sua presenza si è sempre comportato in maniera composta, direi educata. Ogni tanto quando papà sonnecchiava sul divano Smile ci si arrampicava anche lui. Si sedeva, gli chiedeva qualche coccola sfiorandolo un po' con la zampa. Papà si lamentava come è nel dna dei D'Angelis, metteva il muso lui e non il cane, e poi lo accarezzava. Ha sempre dimostrato il suo affetto così, uno sbuffo e poi il cedimento inevitabile all'amore. A volte gli piazzava la bianca testa pelosa sulle ginocchia, papà lo accarezzava con le sue mani pesanti. Erano comici a vedersi. Intenerivano.C'era un periodo, che mio padre e io ci eravamo fissati con la raccolta delle noci in giardino. Sarà durato un mese? Non lo so; non so neppure se mio padre raccogliesse noci anche prima della mia età della ragione. So per certo che Smile se ne stava baldanzoso a vagare per il prato mentre noi due a schiena curva, e io con grande gioia, raccoglievamo noci da terra. Era stancante. Smile arrivava un attimo dopo. Le rubava e se le portava via come chissà quale premio. Poi le leccava con cura fino a farle belle lucide, solo a quel punto triturava il guscio e ne assaporava metodicamente il frutto. Amava le noci come amava le bucce di mela e svariati altri frutti; ai cani piace mangiare bene e mi pare di aver capito che ognuno ha il suo cibo prediletto. Smile è stato cresciuto a croccantini, per una questione di salute oltre che di praticità. E quando gli toccava un po' di pasta in avanzo, o il pane, o gli innumerevoli premi che dovevamo scambiare con lui per ottenere in cambio due secondi di obbedienza, era sempre una festa, una grande conquista. Una volta per il suo compleanno gli avevamo preparato apposta della pasta, gli avevamo messo un cappellino fluorescente di carta e gli avevamo fatto delle foto che ancora ho conservate in una delle mie scatole dei cimeli, mentre lui ingurgitava al suono di tanti auguri a te. Mi pare di ricordare che Carmine avesse cercato di opporsi a quella che doveva sembrargli una tortura, noi altri ne eravamo felici. L'idea del cappellino era stata mia, mi sentivo gagliarda, un genio. Smile era in grado di divorare piatti di pasta ad una velocità impressionante e con una tecnica degna di nota. L'azione si svolgeva così. Lui, pietoso ricattatore, era fuori dalla cucina in attesa. All'apertura della porta si metteva come sull'attenti, e quando il piatto di plastica con dentro la pasta veniva calato dall'alto, come una manna dal cielo, lui col muso lo poggiava al muro per non farlo scivolare e giù ad ingoiare, così veloce che dubitavamo riuscisse a respirare nel frattempo. Una volta impiegò qualcosa come 12 o 15 secondi. Non lo dimenticherò mai, quel momento, come tutto il resto. Ha sempre seguito mia madre in ogni suo passo ed è sempre stato al corrente di tutti gli orari delle nostre giornate. Tutti, tornando a casa, l'hanno trovato ad aspettare sul balcone, o sul pianerottolo, o dietro una finestra. Tutti noi siamo stati onorati della sua gioia, del suo scodinzolio prima vispo, poi molto serio, fino a quei flebili accenni di entusiasmo della sua stanca vecchiaia. Tutti noi lo abbiamo percepito arrivare, con il ticchettare del suo buonumore, verso il divano, porgerci il muso per l'attimo necessario a convincerci ad una coccola e poi voltarsi di spalle, a reclamare delle somme grattate sul fondo schiena, che lo facevano impazzire. Tutti noi lo abbiamo visto sgattaiolare in cucina, appostarsi sotto il tavolo del corridoio con il muso a indovinare i nostri passi, o dormire con l'espressione della beatitudine in faccia al vento e al sole delle primavere e degli autunni, per rientrare in cerca di ombra d'estate, di caldo in inverno. E per tanti inverni io e lui ci siamo scaldati insieme. Gli lasciavo la porta della mia stanza appena aperta e lo sentivo, delicato come sempre, salire sul mio letto, fare un paio di giri su se stesso e acciambellarsi ai miei piedi. Le mattine dopo, quando lui sempre prima di me si svegliava, l'acciambellata ero io e lui disteso in tutta la sua lunghezza, da principe quale è sempre stato. Smile ha curato la mia solitudine con quei suoi strani sogni notturni che lo facevano muovere come se corresse su chissà quale prateria sterminata, ha curato la mia paura della morte, della notte, del buio. Mi ha guardata crescere e ha subito le mie torture, e i soprannomi strani che ognuno di noi ogni tanto gli ha dato. Quando Carmine partì per l'università, per Bologna, Smile ha riempito il vuoto che la partenza di un fratello che ti sembra sempre più adulto e lontano, con i tuoi occhi adolescenti, ti lascia inevitabilmente addosso.
Tutte le partenze che hanno contraddistinto quella mia cara casa di irrequieti, Smile le ha riempite con i suoi dispetti di cane, con la sua fiducia indiscriminata di cane. Ed ha evitato per me i vuoti irreparabili, e la tristezza di ogni separazione. E' stato una cura per tutti noi, e una riserva d'amore mai invadente e sempre presente. Andargli vicino a canticchiargli un motivetto e sentirsi osservati da quella sua faccia interrogativa, dai suoi occhi marroni, profondi e buoni, da cui mai è trasparito un giudizio. Neanche quando avrebbe avuto ragione a detestarci per averlo portato in un centro di addestramento nella speranza che diventasse un cane normale. Cosa che, per nostra immensa fortuna, non è mai stato. 

E' stato ai nostri occhi tutti gli animali del mondo. Una lucertola al sole e una gazzella, quando saltava il metro e mezzo di siepe correndo da un cancello all'altro, per abbaiare a un gatto o ad un anziano, categoria da lui sempre ardentemente detestata. E quando saltava la siepe lasciava senza fiato quando, come dice mamma, per un momento restava sospeso nell'aria, le orecchie morbide al vento, l'espressione gloriosa di cane giovane e padrone del suo mondo. E una lepre quando rincorreva altri cani, tutte femmine, sfrecciante intorno alla casa come una meteora. E quando... E quando. Non riesco a quantificare l'amore che provo per lui. Mi sembra impensabile provarci. E allo stesso tempo ricordo con una certa chiarezza ed una dose di panico infantile la volta in cui, entrando nella mia stanza, lo trovai accerchiato dai miei giocattoli. Barbie senza mani, pupazzi sventrati, e una famigliola di quattro delfini segnata dai suoi denti, alcuni senza coda, altri senza occhi. Pensai di odiarlo, poi sono cresciuta e l'ho fatto con lui e quell'episodio all'epoca drammatico è rimasto un aneddoto dai raccontare ai posteri e niente più. Sono cresciuta e Smile ha preso a mangiare le mie foto e i miei biglietti dei concerti. Nulla mi ferì come quel genocidio di giocattoli, lui era già diventato ben più importante del resto. Ci restai invece molto male quando distrusse una pagella della scuola media di Carmine. Rimase miracolosamente intatta la pagina di religione e comunque la trovai una grossa mancanza di rispetto.
Va detto a sua eterna discolpa che io e mio fratello non gliene abbiamo risparmiata nessuna. Raggiungevamo l'apice del nostro sadismo quando inscenavamo delle risse per vedere chi Smile sarebbe arrivato a proteggere. E proteggeva me, con minacciosi ringhi contro Carmine. Il privilegio della più piccola è anche questo.
Smile è stato il nostro cane libero da collari, la nostra ombra e il pensiero eterno nelle nostre innumerevoli partenze. Che avrà provato quel suo cuore tacito nel vederci tante volte fare le valige e andare via? Mi domando quanto e quando abbia sofferto dell'andirivieni familiare, dei viaggi lunghi mesi, del vederci tornare all'improvviso a casa. Non mi rispondo per un senso di colpa che non riesco a trascurare. E che risolvo nell'eterna figura di mia madre, il nostro punto fisso e la pietra miliare di Smile, così stoica nel suo dolore materno, fino all'ultimo respiro. 

E ora mi sento un po' vuota; le immagini che prima scorrevano con facilità si accavallano e diventano come al solito nebulosa di ricordi. Avrò già scritto quello che adesso ho in mente? Sto forse correndo il rischio di ripetermi, in un finale tentativo di catarsi e di espiazione. Nella follia cosciente della non accettazione della fine di una giornata surreale, maledettamente lontana e parigina, che se n'è già andata lasciandone come sempre il posto ad un'altra, senza Smile sulla sua branda che ora so solo immaginare, e io e noi più soli. E tutti sapevamo che stava invecchiando, lo riconoscevamo nella lentezza dei suoi passi, nel corpo come rimpicciolito e spigoloso, nella stanchezza di partecipare ai giochi di Audrey, alle sue puerili, tanto belle, richieste di attenzione. Tutti lo sapevamo e nessuno in cuor suo credo che si sia arreso all'idea. Io meno che mai, con questa stupida scusa della lontananza, con i piedi fuori dall'Italia e un pezzo d'anima lasciato a casa insieme a tanti anni di vita. Io Smile non lo vedevo, se non nelle mie ricomparse opportunistiche, da conquistatrice del mondo che torna ogni tanto a riposarsi; e dunque mi riservavo di sperare. Smile l'ho percepito negli ultimi anni come una parte di me che avrei voluto trascinarmi in uno zaino per il mondo; e ho goduto con lui sprazzi di vita di autentica condivisione. Nessun rimprovero, dal mio primo ritorno dall'università, in un natale di anni fa, era più possibile nei suoi confronti. Era il mio modo per chiedergli scusa per essermene andata, per riaffermare la mia presenza, per fargli sapere che mai sarei stata da una parte diversa dalla sua. E sono passati così i nostri ultimi tre natali e le mie ultime due estati. Con la doppia sorpresa di Fabrizio e di Audrey a riempire ancora le case e le vite. Smile ha visto in Fabrizio un leale capobranco, quando fino ad un attimo prima a comandare era stato indiscutibilmente lui, ed ha accettato Audrey come un grande saggio, le ha concesso una parte dei suoi spazi senza storie, ribellandosi di rado e in momenti di vera non sopportazione. E lei gli ha fatto compagnia con la sua imponenza, quanto era bello vederli dormire insieme, vicini e stretti al termosifone del corridoio, sulle loro coperte usurate e adorate. Quanto era bello tornare a casa e trovarli sul terrazzo. Sempre in attesa, come mi sembrava che Smile avesse aspettato per anni. 
E non riesco a dirmi che è finita, non mi convinco che è l'ora di dormire. Non mi persuade la sveglia di domani se da domani indietro non si torna. Non lo voglio pensare solo, non lo voglio pensare nel vento, con quella rosa del giardino vicina ad una zampa ormai fredda, e che tante spine e radici e terra viva aveva toccato e scavato. Avrei voluto un'occasione ancora, un altro saluto, una carezza alle sue orecchie beige, morbide come quelle di nessun altro cane, al tatto delle mie mani di bambina e ora forse di donna. E fargli fare la faccia del cane esquimese, del cane trasvolatore, del cane pipistrello, del cane con lo chignon. E guardarlo negli occhi già sofferti mentre ancora gli sussurro un ti voglio bene che sa di un addio che non so pronunciare. Mi tormenta l'idea di non averlo salutato per bene alla mia ultima partenza, ed una parte di me non si perdona di averlo lasciato come un oggetto vecchio, alla caccia di un'altra vita da un'altra parte. Avrei bisogno di un'altra possibilità. Forse voglia dell'ennesima conferma del suo amore. Gli umani hanno bisogno di questo, e perciò i cani esistono, pronti a ringraziarci nonostante le nostre mancanze, a perdonarci con uno sguardo o una zampata il nostro altro errore. E quanto sono migliori di noi per questo. E quanto Smile è stato migliore di me. Quanto avrebbe meritato una voce, piuttosto che quell'udito che altro non ha sentito oggi da me che un pianto incessante, una cascata di lacrime, un urlo disperato.


Ilaria


p.s. una dedica per te, poco prima della mia partenza, quasi tre anni fa, per Forlì. 

Smile è una ciambella di pelo  color latte macchiato con poco caffè, è un cane, è una borsa dell’acqua calda. Di inverno, quando il vento umido, tagliente del mare ci viene addosso, quando fa freddo e piove e i nasi diventano rossi e i piedi soffrono ma non rinunciano ad un paio di all star, Smile è l’unico rimedio possibile. La notte, con lui rannicchiato subdolamente ai piedi del letto, non è mai buia davvero, non è del tutto triste, non dà spazio al magone da pensieri irrimediabili, alle ansie, alla paura. Poi Smile si stiracchia, si impossessa delle coperte e le scalda, ti lascia il tuo posto ma esige il suo e se lo prende senza troppa cura. E durante la notte sogna; capita che le sue zampe si agitino in un modo un po’ convulso, magari nell’immaginare spazi sterminati, oppure che russi o sbadigli o che soffi infastidito o impigrito dalla sua stessa stanchezza. All’alba, poi, ti dà il buongiorno  con una zampata sulla spalla, nei casi migliori, su una guancia se hai davvero sfiga. I cani non graffiano volontariamente, ma hanno unghie lunghe, e ogni loro carezza ha la delicatezza di uno squarcio. Essere svegliati da Smile non è piacevole, almeno finchè non apri un occhio, poi l’altro, metti a fuoco e lo vedi. Seduto, col suo muso da segugio mancato a dieci centimetri dalla tua faccia, le orecchie flosce, la bocca piegata in un sorriso perenne, gli occhi pieni, profondi, buoni e la coda a spazzare la polvere del pavimento. 

2 commenti:

  1. È triste riscoprire il tuo scrivere per puro caso, venendo a conoscenza di un evento simile. Per quanto possa valere, mi dispiace tantissimo. Ti abbraccio forte cazzilla.

    Mirko.

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  2. Ho letto solo adesso il tuo commento. Grazie Mirko, grazie davvero.

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