domenica 19 febbraio 2012

Monologhi

Perché? E’ la domanda che fanno i bambini, mossi sempre dal desiderio di conoscere il motivo, di capire in senso. E’ la domanda figlia della curiosità e per questo potrebbe essere ripetuta in eterno, fino a che c’è qualcosa da capire, un particolare non detto, un aspetto poco chiaro. E nelle risposte c’è sempre qualcosa di sorprendente, di nuovo che sa di rivelazione. E in quella rivelazione ancora un dubbio su cui si è glissato, coscienti dell’impossibilità perlomeno momentanea di scioglierlo. E su quel dubbio, su quel tono ora più basso della voce, sul momento di incertezza si inserisce di nuovo la domanda. Perché? Ripetuta fino allo sfinimento, fino a che tutto sarà compreso in poche frasi chiare, immediate.
Ma l’immediatezza la si perde per strada, appena si intuisce l’importanza del silenzio, la necessità della riflessione e si sceglie di coltivarla in contrasto alla facilità con cui si spacciano ovvietà per verità, punti di vista soggettivi perché storicamente e socialmente determinati, per dati di fatto inconfutabili. E se poi è un adulto ad incalzarti coi perché, con domande che non vogliono arrivare a capire come la pensi partendo dal presupposto che ciò che pensi ha già un suo valore nello sforzo che sta dietro la formazione dell’opinione, ma metterti in difficoltà fino a farti dubitare della validità del tuo pensiero, fino a criticare l’assenza di radici del tuo sistema di valori, per svelare che il tuo non è forse neppure un pensiero, ma una massa di credenze nemmeno coerenti, di assunzioni para-metafisiche incollate come un brutto puzzle per far sfoggio di una presunta, inconsistente profondità, allora arrivi alla resa. E ti ritrovi stanca, svuotata. L’umiliazione la percepisci perché ci tieni a confrontarti con le persone,  a maggior ragione se le ritieni meritevoli di stima, e a prendere spunto dai pareri che ti vengono offerti e capire se anche tu puoi arricchirli di un aspetto che non era stato considerato. Il confronto è per me condivisione, regalo reciproco. Ma dal momento in cui da scambio di prospettive ugualmente dignitose si passa all’univocità del sermone, il confronto diventa indottrinamento, prevaricazione ingiustificata. E mi sembra di trovarmi davanti il micro-potere di Focault. E me ne allontano delusa, e pure convinta che la demolizione sistematica non sia il modo più valido per mettere in discussione l’interlocutore o il discepolo di turno, a seconda di come il nostro ego ci consiglia di considerarlo, solo il più facile per non svelare se stessi, dietro l’aggressività colta delle proprie motivazioni, delle raffiche di domande, dei tentennamenti di cui solo agli altri si chiede conto, ingessati sul pulpito delle proprie soggettive certezze oggettive, o della propria superbia.

Ilaria

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